Mitridate, Vienna, van Ghelen, 1728

 ATTO PRIMO
 
 Sala d’armi con due porte laterali nel prospetto. Trono magnifico nel mezzo, ove avranno a sedere Mitridate e Ladice, coperto al di sopra da baldacchino di porpora e d’oro.
 
 SCENA PRIMA
 
 APAMEA e DORILAO
 
 APAMEA
 Credo al tuo amor; ma l’hai sì generoso
 che amar possa Apamea, più che sé stesso?
 DORILAO
 Quanto di sangue e vita
 mi bolle in petto, a te si sveni...
 APAMEA
                                                           A prova
5sì crudel cimentarti a me non piace
 né giova. Una n’esiggo
 più mite, e più gentil, se bene anch’ella
 le sue punture avrà, le sue amarezze
 per l’amante tuo cor.
 DORILAO
                                         Soffra il meschino,
10purché meriti poi.
 APAMEA
 Già sai qual imeneo debba unir l’armi
 e gl’interessi di due regni. Avranno
 l’Armenia e ’l Ponto un solo spirto e moto
 in due gran re, se sposa di Farnace
15sarà Apamea. Ladice al nodo insiste,
 Tigrane il chiede, Mitridate il vuole;
 sol Farnace resiste.
 DORILAO
 E Apamea?
 APAMEA
                         Che far può, suora a Tigrane,
 figlia a Ladice? La feroce madre
20ti è nota. Esser regina
 vuole e d’esserlo sa. Suo è ’l darmi leggi,
 mio l’ubbidirle. Io mostro,
 per timor d’irritarla,
 d’amar Farnace e dolor mostro ancora
25di vedermi sprezzata.
 DORILAO
                                          Ah! Chi mi accerta
 che sia finto il dolor, finto l’affetto?
 APAMEA
 Il mio, sì, Dorilao, solo è dispetto.
 A giovane beltà fa senso ognora
 l’altrui rifiuto e bella
30non v’è fra noi che di veder non ami
 tutti al suo carro incatenati i cori.
 DORILAO
 Ma che far deggio? Non intendo ancora.
 APAMEA
 Difender da lo sdegno
 di Mitridate il principe suo figlio.
35Reo ne sarà col ricusarmi. Il suo
 fallo, che gli altri irrita,
 piaccia a te solo. A petto
 siati il mio, dillo priego o dillo impero;
 né starmi a ricercar, se nel mio core
40ciò che ’l desta è virtù, pietade o amore.
 DORILAO
 
    Crudele! Ubbidirò; (Dopo aver pensato alquanto)
 e a costo di mia pace
 difenderò Farnace
 né cercherò di più.
 
45   E se dirà il mio core:
 «Guardati; questo è amore»,
 «No no» risponderò.
 «Servasi al bel comando;
 egli è pietà, è virtù».
 
 SCENA II
 
 APAMEA
 
 APAMEA
50Tutto sembra, o cor mio, ch’oggi cospiri
 per farti lieto. E pure
 cessa di lusingarti. Un tanto bene
 non è, credil, per te. Fa’ il tuo dovere.
 Ma ragion ti sia guida; e scorga il mondo
55che ne la scelta de l’eccelso oggetto,
 qual ben sapesti amarlo,
 virtù non ti mancò per meritarlo. (Sta pensosa)
 
 SCENA III
 
 LADICE con guardie, GORDIO e APAMEA
 
 LADICE
 Vedila mesta. E che ogni via non tenti (A Gordio in disparte)
 per suo riposo? Eh! Figlia,
60que’ begli occhi di terra alza e qui mira
 Gordio, di fausti eventi
 dai lidi armeni apportator felice.
 GORDIO
 Sì, da que’ lidi, ove, o gran donna, ancora
 col tuo figlio real regna il tuo nome.
 LADICE
65Caro Tigrane! Oh! Fosse
 agli amplessi materni
 venuto anch’egli!
 APAMEA
                                  Oh! A’ miei pur anco il caro
 sospirato germano!
 LADICE
                                      Ei dunque assente (A Gordio)
 a la guerra con Roma?
 GORDIO
                                           E ’l nodo illustre
70di Apamea con Farnace
 unirà i due regnanti a l’alta impresa.
 LADICE
 Apamea, sei beata.
 APAMEA
                                      (Ah! Per mia pace
 manca il voto miglior, quel di Farnace).
 LADICE
 Lieta madre or potria dirsi Ladice,
75se in rivederti, della sua perduta
 Eupatra, oh dio, la rimembranza amara
 non la turbasse. E pur dieci anni e dieci
 son corsi omai, dacché ne piango il danno.
 GORDIO
 Spera. Chi sa? Tra ’l popol vario e folto
80di Eraclea, questa mane
 veder mi parve Ostane.
 APAMEA, LADICE
 Ostane?
 GORDIO
                   Sì, quel generoso scita,
 cui ne la notte, che improvvisi e cheti
 ne assaliro i Romani,
85in Colchide fidai l’alma fanciulla,
 senza svelarne la fortuna e ’l nome,
 perché di tanta spoglia
 men gisse altero il vincitor.
 LADICE
                                                    O cieli!
 Che non correr a lui? Che de la figlia
90non chiedergli?...
 GORDIO
                                   Il potea, da guardie cinto
 pontiche e armene e atteso
 dal nostro re?
 LADICE
                            Gordio, deh! stanne in traccia
 e ’l guida a me. Troppo mi preme i casi
 saper d’Eupatra; e s’ami Aristia ancora...
 GORDIO
95Se l’amo? E ’l chiedi?
 LADICE
                                          L’imeneo del prence
 può farla tua. S’ei non s’adempie, inciampo
 temi possente al tuo riposo e al mio.
 Tu non m’intendi e dirlo non poss’io.
 GORDIO
 
    Non intendo;
100ma serpendo mi va in seno
 certo gelido veleno,
 nuovo cruccio al mesto cor.
 
    Ei penò finor negletto;
 e dispetto lo agitò;
105or qual fia che a più crucciarlo
 vien sospetto e vien furor?
 
 SCENA IV
 
 LADICE e APAMEA
 
 LADICE
 Apamea, non ti scorgo
 con quella ilarità che suole in volto
 spargersi a chi ben ama ed è vicino
110a goder de l’oggetto, ond’ei sospira.
 APAMEA
 Ah! Madre... Di Farnace...
 LADICE
                                                  Il so; ti affligge
 la lontananza. In breve
 dal Bosforo già vinto,
 a’ piè del padre ei recherà gli allori.
 APAMEA
115Ma speran poco i miei dolenti amori.
 
    Quando nel fitto verno
 spunta l’erbetta e ’l fior,
 nasce ad un punto e muor,
 che ’l gel l’opprime.
 
120   Tal se un balen di spene
 mi viene a lusingar,
 tosto lo fan sgombrar
 dal tenebroso cor
 le nebbie prime.
 
 SCENA V
 
 LADICE, poi MITRIDATE, FARNACE, ARISTIA, seguito di capitani, di soldati, eccetera
 
 LADICE
125(Nel dolor de la figlia
 sa Ladice i suoi torti.
 Ma tace ancor. Sia quanto vuole accorto,
 non fuggirà al mio sguardo
 quell’oltraggioso amor ch’arde in due petti.
130Basta... Accertar vo’ meglio i miei sospetti).
 MITRIDATE
 Regina, ecco in Farnace
 di Mitridate un degno erede. In esso
 ringiovinisco; e con tal figlio al fianco
 Roma più mi paventi.
135Tu qual madre l’accogli; e in lui non tanto
 di Mitridate il sangue
 che il suo valor, le sue vittorie onora.
 ARISTIA
 (Più bello il trovo in tanta gloria).
 LADICE
                                                               Illustre
 germe di chi fra i re primo risplende,
140vieni agli amplessi... (Si avanza verso Farnace)
 FARNACE
                                         Un tanto onor, perdona, (Ritirandosi modestamente)
 l’opre mie troppo eccede,
 se pur son opre mie quelle che han fatte
 l’armi del padre, la fortuna e ’l nome.
 LADICE
 (Modestia ostenta e livor copre).
 MITRIDATE
                                                             A tempo
145qui ’l ciel ti trasse. Oggi l’Armenia e ’l Ponto
 hanno a segnar di stabil pace i patti.
 Roma, che sovra i re d’alzar pretende
 un tirannico giogo,
 ne tremerà. Tu ancora
150udrai...
 FARNACE
                 No, sire. A me vassallo e figlio
 non convien che ubbidir. Non entro a parte
 de’ tuoi gravi consigli. Addottrinato
 dal lungo uso del regno e da cotanti
 ravvolgimenti de la varia sorte,
155a tuo piacer disponi
 e di guerra e di pace,
 e dirò ancor di questa
 vita. Tu padre, tu signor mi sei.
 Sol lascia in libertà gli affetti miei.
 
 SCENA VI
 
 MITRIDATE, LADICE, ARISTIA, poi GORDIO e i due ambasciadori armeni col loro seguito
 
 ARISTIA
160(Che virtù!) (A piano)
 LADICE
                           Che insolenza! (A Mitridate)
 MITRIDATE
                                                        Andiam sul trono, (A Ladice)
 Gordio, e i legati armeni entrino a noi; (Al capitano delle sue guardie)
 e di Farnace parlerem dipoi. (A Ladice. Presa per mano Ladice ascende seco sul trono. Suonano intanto i timpani e le trombe ed entrano Gordio e gli ambasciadori armeni, i quali si presentano al trono di Mitridate)
 GORDIO
 Del recente trionfo,
 che col braccio del figlio a la tua fronte
165gli allori accresce e le corone, o sempre
 re Mitridate invitto, il gran Tigrane,
 a l’ombra del cui scettro un’aura etade
 vivon felici e l’una Armenia e l’altra,
 tutto sente il piacer. Per quei maggiori,
170che nel cor bellicoso
 volgi, in auspizio il prende e a secondarli
 quanto può moverà di forze e d’armi.
 Sui in avvenir saranno
 nemici i tuoi, comuni
175e le guerre e le paci. I sacri patti
 qui per lui segneranno Eumaco e Arasse.
 Per l’arduo impegno anticipato il prezzo
 ne le nozze ei ti chiede
 di Apamea sua germana
180col tuo figlio Farnace. In suon di gioia
 n’eccheggino l’Eusin, l’Eufrate e ’l Tigri;
 i tiranni de l’Asia
 ne impallidiscan di spavento; e tanta
 parte di mondo ingiustamente oppressa
185risorga a nuova spene
 d’infrante calpestar le sue catene.
 MITRIDATE
 S’io pregiarmi più debba
 di quanto mi concede
 o di quanto mi chiede il re Tigrane,
190non so. Sua regal madre
 passò dal soglio armeno a quel del Ponto
 e mia sposa divenne.
 Farnace, che è mio figlio, avrà per gloria
 che la germana di sì gran regnante
195il suo talamo onori.
 Vi applaudo e ’l voglio; e alora
 che del regio imeneo splendan le tede,
 oggi ciò fia, su l’are coronate
 porrem la destra e giurerem la fede. (Inchinati al re e a la regina, partono Gordio e gli armeni; e quegli intanto scendono dal trono)
 
 SCENA VII
 
 MITRIDATE, LADICE, ARISTIA
 
 ARISTIA
200(Ho l’amor di Farnace e nulla temo).
 MITRIDATE
 A grado de’ tuoi voti,
 Ladice, io regno. Ecco prefisso il nodo,
 per cui sieno felici i miei più cari.
 LADICE
 Il figlio ancor?
 MITRIDATE
                              Puoi dubitarne?
 LADICE
                                                              Un poco
205di resistenza non prevedi, o sire?
 MITRIDATE
 E donde?
 LADICE
                     Da la lunga
 indifferenza di quel cor feroce.
 ARISTIA
 (Oh! Se sapesse di qual foco egli arda).
 LADICE
 Vicino ad Apamea, tacito, austero,
210mai d’amore uno sguardo,
 mai d’amore un accento
 non le diè, non le disse.
 MITRIDATE
                                             Ei pien la mente
 di eccelse idee guerriere,
 ad un tenero amor fu muto e cieco.
 ARISTIA
215(Tal non fu già, felice Aristia, teco).
 LADICE
 Esser guerriero e amante
 si può. Tra i bellicosi
 spiriti nutre Farnace i più soavi
 ma non per Apamea. Forse un segreto
220ostacolo ha nel cor per non amarla.
 MITRIDATE
 La sposi e l’amerà.
 LADICE
                                     Ma s’ei resiste?
 MITRIDATE
 Resistermi Farnace?
 LADICE
                                         I suoi ti chiese
 affetti in libertà.
 MITRIDATE
                                 Di qual mi turbi
 oltraggiosa incertezza? O dei! Ne fremo.
225Resistermi? Cotanto
 non si fidi il superbo
 ne la sua gloria o nel mio amor. Da lui
 o l’ossequio cominci
 o la pena in esempio.
230L’augusta autorità, che mi sta in fronte,
 non soffre impune il minor torto e sprezzo;
 ed a sceglier costretto,
 a un re non si concede
 bilanciar tra un suo figlio e la sua fede.
 
235   Resistermi un figlio?
 Funesto consiglio!
 Ubbidirà vassallo
 o perfido morrà.
 
    Dee re, che è negletto,
240cessar d’esser padre;
 e in sostegno del rispetto
 obbliar la natura e la pietà.
 
 SCENA VIII
 
 LADICE e ARISTIA
 
 LADICE
 Aristia, è tempo omai che tu mi tolga
 certi dubbi da l’alma e che mi sveli
245quell’arcano fatal, per cui riposo
 non ho. Tu di Farnace
 tutto godi il favor. S’ei me sovente
 degna di sua presenza,
 Aristia n’è cagion; ma gli occhi suoi
250al fianco di Ladice
 non cercano che Aristia. Ogni altro oggetto
 gli è indifferente o abbietto.
 ARISTIA
 Regina...
 LADICE
                    Ond’è che la real mia figlia
 egli solo disdegna?
255E pur, né mi fa inganno
 materno affetto, a quai sembianze il cielo
 largo più de’ suoi doni e più cortese
 fu mai? Qual altra ebbe più nobil core?
 Virtù più pura? Il men che in lei si ammiri
260è lo splendor di sua natia grandezza.
 Anche in sorte privata
 regnerebbe su l’alme. Il solo, il solo
 Farnace è che la sprezza. E perché mai?
 Vano è tacerlo più. Dillo. Tu ’l sai.
 ARISTIA
265E che dirti poss’io? Non è Farnace
 né selvaggio né ingiusto
 per la bella Apamea. Ne’ suoi pensieri
 penetrar non mi è dato.
 Ma sovente ei mi parla a core aperto
270di lei; n’esalta il merto,
 le virtù, la beltà. Ciò che tu stessa
 ne pensi, egli ancor pensa e a me lo dice.
 LADICE
 Lo dice a te? S’egli l’amasse, Aristia,
 perché dirlo a te sola?
275Guardati d’ingannarmi. Ei non ti parla
 di lei. Di te ti parla.
 ARISTIA
 O dei? Di me?
 LADICE
                              Sì, di te sola; o amante
 di lui ti credo o tu colei mi addita,
 su cui debba infierir. Sappil; tel giuro;
280qualunque sia che ardisca
 co’ suoi mal nati affetti
 quei del prence sedur, vedrà sin dove
 giugner possano l’ire
 d’una regina e madre.
285L’altra figlia ho perduta.
 Mi è rimasta sol questa.
 Ella è per me gioia, tesoro e quanto
 amar posso e temer. Per vendicarla
 non v’è fren che mi arresti.
290I suoi torti son miei. S’anco ella stessa
 sofferirli potesse, io nol farei.
 Pensaci. O tu l’amante
 mostrami di Farnace o tu la sei.
 
    Guai per te, se tu sei quella.
295Strapperò dal sen quel core
 e ancor caldo, ancor fumante
 al tuo amante,
 dono infausto, il recherò.
 
    Sarà questo il fin funesto
300di quel vil superbo amore
 che ad un talamo reale
 spiegò l’ale e l’insidiò.
 
 SCENA IX
 
 ARISTIA, poi FARNACE
 
 ARISTIA
 Misera me! Che intesi? Oh! Ne l’orrore
 del mal vicino, almeno
305a tremar non avessi
 che per me sola... Ah! Caro prence! Ah! Vieni
 de’ miei spasimi a parte,
 tu che ’l maggior ne sei.
 FARNACE
                                              Qual ne sovrasta
 sciagura; i pianti tuoi non dicon tutto.
 ARISTIA
310Farnace... O dio!... Farnace,
 la tua sposa è perduta.
 FARNACE
 Perduta?
 ARISTIA
                    Ecco i fatali
 preveduti momenti
 da l’amor mio. Le nozze
315di Apamea son segnate. Il re fra poco
 a chiederti per lei verrà la fede,
 fé che tra noi giurata
 non è più in tuo poter né più nel mio.
 Questo anco è poco. A la real matrigna
320son io sospetta. Oh! Se ne avessi intese
 le furie, le minacce... Aimè! Fin dove
 non giugneria la rabbia sua gelosa,
 se cercando l’amante di Farnace
 ne trovasse la sposa?
 FARNACE
325Diletta anima mia, tanto di pena
 non darti. In tua difesa...
 ARISTIA
 No no. Giudica meglio
 del mio timor. Non temo i mali miei
 che come tuoi perigli. Ah! Tel rammenta.
330Speme e orgoglio non fu d’esser un giorno
 sul trono tuo che mi fe’ tua sposa.
 In stato umile, ignara
 de l’esser mio, che intesi
 pria miseria che vita,
335non diedi orecchio a tue lusinghe. Alora
 che di ferro ti vidi armato il braccio,
 risoluto a vibrarlo entro il tuo petto,
 alor cedei. Dovea salvarti. Il feci;
 né me ne pento. Piaccia,
340piaccia agli dii, me sola
 scopo far di tant’ire, ond’io dir possa:
 «Aristia la fedele al suo Farnace,
 e vivendo e morendo,
 diede felicitade e lasciò pace».
 FARNACE
345Che parli di morir. Tu sei mia sposa. (Risoluto)
 Questo nome mi è sacro
 più che ogni altro. Oprar tutto
 per me potesti; e tutto
 per te anch’io potrò osar. Né re né padre
350v’è sopra il mio dover, sopra il mio amore.
 Tremino di un tuo pianto (Fiero)
 le frenesie superbe
 d’una donna altrui madre. Avvezzo io sono
 e nato a comandar, non a soffrire.
 ARISTIA
355Frena, oh dio! frena l’ire.
 Fremer mi fai d’orror. Sai che sin quando
 sposo e signor ti accolsi,
 al tuo piè mi gittai; ti chiesi in dono
 l’essermi, sì, fedel; ma insieme io chiesi,
360e tu mel promettesti,
 di non porre in obblio che un re, che un padre
 tu avevi in Mitridate.
 FARNACE
 E pel padre e pel re tutto promisi, (Fiero)
 nulla già pel tiranno,
365s’ei tiranno esser voglia.
 
 SCENA X
 
 DORILAO e i suddetti
 
 DORILAO
 Principe, Aristia, a che sì lunghi indugi?
 Te chiede il padre; e te osservar gelosa
 fa Ladice. Potete
 da voi stessi tradirvi.
 ARISTIA
370Addio, Farnace. Armiamci di costanza.
 Amiamci sempre e riserbiamo il dolce
 piacer di rivederci a miglior tempo.
 FARNACE
 Sì, vi consento. Addio.
 ARISTIA
                                           Tu vanne al padre;
 l’amor nascondi e i fieri spirti affrena.
 FARNACE
375E tu, idol mio, su la mia fé riposa.
 ARISTIA
 L’arra ne prendo in quest’amplesso. (Si abbracciano)
 FARNACE
                                                                     O sposa.
 ARISTIA
 
    A te, diletto sposo,
 dissi altre volte addio;
 ma con martir sì rio
380nol dissi mai.
 
    E pur, mi dice il core,
 questo non fia l’estremo;
 ancor ci ridiremo
 i rischi e i guai.
 
 SCENA XI
 
 FARNACE e DORILAO
 
 FARNACE
385Andiamo; e a fronte d’un poter tiranno
 il pudico amor mio vinca e trionfi.
 DORILAO
 Cauti consigli, o prence...
 In tal destin sceglier ti giovi. Il danno
 accrescono gli audaci.
 FARNACE
                                          Eh! Di salute
390non ho altra via che il perdermi.
 DORILAO
                                                             E ti perdi,
 se al genitor contrasti. A lui ne’ primi
 impeti poco costa il dar comandi
 che la natura oltraggino. I rimedi,
 che non trova la forza, appresta il tempo.
395Se di te non ti move
 pietà, quella ti vinca
 del periglio di Aristia.
 Cedi per meglio vincere.
 FARNACE
                                                E sì vile
 sarò?...
 DORILAO
                 Poi penseremo i più sicuri
400mezzi a sfuggir periglio e uscir d’affanno.
 FARNACE
 Lasciami. O crudel donna!
 O cara Aristia! O genitor tiranno!
 
    Se mi togliete quella,
 che è vostro dono, o dei,
405alma innocente e bella,
 tutte le colpe mie vostre saranno.
 
    A voi non fanno oltraggio
 i casti affetti miei;
 anzi adorando in lei
410del vostro lume un raggio, onor vi fanno.
 
 Ballo di armeni e di eracleensi, i quali festeggiano l’alleanza fra i loro sovrani.
 
 Fine dell’atto primo